SLRVLTN undici cinque ventuno è andato in onda su Radio Milano International in FM, DAB+ e Streaming.
Ora è disponibile on demand dal canale Mixcloud:
TONY ALLEN, LAVA LA RUE – One Inna Million
DYLAN REESE, MUSIQ SOULCHILD – Lose Your Love
TEEDRA MOSES, UNCLE CHUCC, BRODY – Make Me
SONDRA LOVE – Blaze
CAMERA SOUL – Figure It Out
EARTH, WIND & FIRE – I’ve Had Enough
THE BAMBOOS, JOEY DOSIK – It’s All Gonna Be Ok
DJ KHALED, JUSTIN TIMBERLAKE – Just Be
LITTLE SIMZ, CLEO SOL – Woman
CHILDREN OF ZEUS – No Love Song
LEWIS TAYLOR – Lucky
ANTHONY HAMILTON – You Made A Fool Of Me
ROE – My Baby
LOU VAL – Cruel Silence
KL.Z, ROWLAN – Talk Of The Town
MORRAY – Bigger Things
SLRVLTN Undici Cinque Ventuno #fuoriSLRVLTN
Insisto.
Il disco di debutto di Lewis Taylor è da ascoltare. Ma non una sola volta.
E il problema in SLRVLTN undici cinque ventuno è che c’è una sola canzone di questo disco.
Un disco che non ha inventato l’acqua calda, lo dico sempre che nella musica ci si basa su quello che c’è stato ma si porta tutto il discorso avanti o – quanto meno – da un’altra parte.
Proprio in questi giorni ho notato un tweet di Sango che dice grosso modo che la musica è bella quando ci porta dentro il mondo dell’artista. Non quando si limita a descrivere quel mondo (la musica “fresh” così intenta a creare un’estetica fine a sé stessa ma così decantata da “quelli che sono fighi”) ma quando ti porta dentro quel mondo.
E questo disco di Lewis Taylor fa proprio questo.
Uscito nel 1996, quindi nemmeno tanto tempo fa, è uno di quei dischi di cui tanti parlano ma alla fine – come per l’estetica “fresh” – non hanno mai ascoltato o lo hanno fatto distrattamente perché Lewis Taylor è un disco che ti fa sembrare uno che ne sa anche solo se ne parli.
Però se lo ascolti succede che questo mondo, quello di Lewis Taylor che nel disco ha scritto, prodotto, registrato, mixato tutto e suonato quasi tutto da solo (come un Marvin ramingo che non trova pace se non nella sua musica), ti arriva addosso. E non ha pietà.
Quasi come se Shuggie Otis fosse delle parti di Londra, insomma.
E in questo mondo c’è tantissima roba. C’è il rock psichedelico da cui Taylor proviene, c’è il languore del soul di Marvin Gaye e di Al Green, c’è qualcosa che ti riporta a Bobby Womack ma.
Ed è in questo ma che esiste questo disco.
Nelle sue digressioni trip hop come in ‘Bittersweet’ o più avanti tutte le lezioni apprese da Prince e dal suo mondo che entrano nella finestra di ‘Damn’ prima di raggiungere il punto finale di questo giro restando soltanto con le voci di ‘Spirit’ a chiudere una bellissima imperfezione che si intitola ‘Lewis Taylor’.
Un’imperfezione che sembra ancora oggi destinata a restare uno dei grandissimi “what if” del soul inglese, purtroppo per noi.
Fai una prova, adesso, tanto mi stai leggendo e mi rimetterai presto in tasca.
Prima passa di qui, prenditi del tempo (lo so che mi stai dicendo che non ne hai e sai che ti sto rispondendo che non ci credo, che dovresti fare questa cosa per te, per il tuo bene) e fermati, rallenta, respira, premi play.
Dall’inizio alla fine. Poi dimmi come stai.