RnB in Anno Domini 2021.
Etichette musicali per complicarci la vita: RnB e Hip-Hop, fra le troppe.
A prescindere dal fatto che personalmente preferisco chiamarla tutta “black music” che poi è la radice da cui arriva tutto e si spinge indietro, più indietro del blues.
Comunque per mettere a fuoco lo scenario parto da due etichette. RnB e Hip-Hop.
Oggi come oggi queste due etichette sono messe spesso insieme, addirittura sovrapposte nella stessa canzone, definendo, in ampia misura, cosa intendiamo per RnB.
Un viaggio che dura da 50 anni e che oggi vede giungere in queste grandi famiglie artisti come Lizzo o The Weeknd.
Alla faccia dei puristi che ahimè sprecano un sacco di tempo in discussioni senza senso e senza uscita su cosa sia o no RnB. Che poi è soltanto un’etichetta, qualcosa di effimero per definire la musica che per sua stessa natura è indefinibile.
Il 1990 è stato uno spartiacque: in America è nata la Hot RnB Singles Chart dopo che per otto anni quel calderone era stato battezzato Hot Black Singles.
Razzista, terribilmente sbagliato, etichetta coniata per relegare quella musica ad un ascolto pressoché consumato da neri.
Tanto che lo stesso RnB si è tolto da quell’etichetta da solo, travalicando gli steccati del colore e puntando alla sua essenza: a quello che comunica, a prescindere dalla melanina dell’artista che sta comunicando.
Grazie a Dio. Anche se ancora per molti il razzismo sistemico vive anche qui. C’è tanto lavoro da fare, ancora.
Che poi inizialmente l’RnB era in commistione stretta con il new jack swing (altra parrocchia ma sempre black music anche qui) ovvero un amalgama creativo fra l’RnB degli anni 80 e la produzione Hip-Hop. Hai presente ‘Remember The Time’ di Michael Jackson?
Arriva il 1995. E con lui anche la dimostrazione che l’RnB poteva essere venduto, e bene, che poteva essere in vetta alle classifiche, e per molto, che poteva essere una musica trasversale e che potesse piacere a neri, bianchi, gialli, viola e anche ai blu.
Nel 1995 esce ‘Fantasy’ di Mariah Carey.
Otto settimane in cima alle classifiche (e nel 1995 le classifiche contavano ancora quanti dischi uscivano, scontrinati, dai negozi) e disco che dà il beneplacito all’uscita e al successo ad esempio di ‘Mo. Money Mo’ Problems’ di Biggie e ‘Crazy In Love’ di Beyoncé con JAY-Z.
Vuoi chiamarlo ancora Pop o ti decidi a chiamarlo RnB?
Secondo me puoi chiamarlo come ti pare, ma di fatto è qualcosa che ha fatto la storia.
Perché poi, qualche anno dopo, arriva anche Rihanna e ci regala ‘Pon De Replay’ e poco dopo ‘What’s My Name’.
Come lo chiami, adesso?
Come la chiami la musica che fanno Justin Timberlake e Alicia Keys all’inizio dei duemiladieci, come le chiami ‘Suit And Tie’ e ‘Girl On Fire’?
Lo sostengo da sempre.
Il bello della musica black è questa capacità di mutare, di assorbire quello che le sta attorno, di spiazzare chi la ascolta con una sfumatura nuova, con un’altra rivoluzione, con un nuovo codice che non ti interessa nemmeno leggere ma adori “sentire”.
Ecco perché è RnB (che resta sempre una piccola misera etichetta) Mariah Carey, lo è Beyoncé, lo è SZA, lo è Justin Timberlake e lo è Frank Ocean, lo è R.Kelly e lo è Miguel.
Il problema di definire alcuni di questi “pop” e altri invece “RnB” è tutto nella tua testa. Se ha successo diventa pop. Niente di più sbagliato. Se non corrisponde ai criteri della musica delle classifiche “black” degli anni ’90 (quando l’RnB era quasi un’altra cosa rispetto ad oggi ed era pop-olare perché stava in cima alle classifiche ed era ovunque).
The Weekend non fa pop (del resto ci sono smaccate differenze fra ‘Blinding Lights’ e una qualsiasi canzone dei One Direction – mi pare) a meno che per “pop” non intendi “popolare”, “riconosciuta dalla massa”, e allora te lo concedo.
Ma poi ti ritrovi con ‘Good Days’ di SZA. E lì c’è anche il neo soul, incorporato nella sua essenza tradizionale. E ti fermi a pensare un attimo a tutto questo.
E improvvisamente ti viene in mente una canzone di Lauryn Hill. Qualsiasi.
Perché il suo album è il posto da cui tutto ha avuto senso, ha avuto inizio, ha avuto il coraggio di uscire con un disco che ha definito quello che oggi chiamiamo ancora RnB. Nonostante RnB sia un concetto ormai diventato soggettivo, sfumato, che non ha contorni e codici specifici a meno che l’utilizzo del melisma* sia cardine per definire una musica.
Il che equivale a dire che se c’è la chitarra allora è rock.
E poi, via, il melisma dal 2007 è diventato roba da boomer: chiedilo a Keyshia Cole o a Leona Lewis, per dirne due.
Quello che interessa, la discussione che sarebbe bello nascesse è quella che non cerca di capire cosa sia successo ma cerchi di capire oggi quali siano le sfumature del presente, quelle sfumature che fra trent’anni andranno a finire su un articolo come questo dove qualcuno continuerà quella serie di nomi.
Mettendoci Gallant, Kenyon Dixon, Avery Wilson, Anderson .Paak, Lianne La Havas, Jazmine Sullivan, Brik Liam, Kori James…
*melisma = ornamento melodico che consiste nel caricare su una sola sillaba del testo un gruppo di note ad altezze diverse. Chiamato anche “ghirigoro” nel mondo del Karaoke. Esempio illustre: Visions Of Love di Mariah Carey o le differenze in I Will Always Love You fra Dolly Parton (senza melisma) e Whitney Houston (il festival del melisma). Si agevolano gli esempi
Mariah Carey:
Dolly Parton:
Whitney Houston:
SLRVLTN Quindici Dodici Venti ha suonato sui 98.2 FM di Radio Milano International, in DAB+ e in streaming. Ora disponibile on demand:
SLRVLTN Quindici Dodici Venti #SNDTRCK
La soundtrack ha spaziato, come al solito, fra l’oggi dei quattro punti cardinali di soul, funk, rnb e hip-hop con qualche sguardo rivolto alla storia.
JARROD LAWSON – Why Don’t You Call Me Baby Anymore
SG LEWIS, RHYE – Time
SAMM HENSHAW – All Good
MARC E. BASSY, BUDDY – Cold
ERICK THE ARCHITECT, LOYLE CARNER, FARR – Let It Go
IAN ISIAH – N.U.T.S.
MICHAEL JACKSON – P.Y.T.
ELHAE, RICK ROSS – Fun Fact
JAKE ISAAC – Eyes For You
RAAHIIM – Twos
KIRBY, D SMOKE – Superpowers
CHANNEL TRES, TYLER THE CREATOR – Fuego
KID CUDI – Mr Solo Dolo III
BRANDY – Borderline
MELII, 6LACK – You Ain’t Worth It
DONNY HATHAWAY – This Christmas
Gli acronimi. Come C.R.E.A.M. oppure Y.M.C.A. e questa volta N.U.T.S.
Ho accennato durante la puntata al video, alla trasgressione, alla volontà di annullare le barriere, le etichette, i generi, il maschio e la femmina, il bianco e il nero.
In un certo senso un inno alla libertà. Quella di essere sé stessi da una parte e quella di accettare l’altro per quello che è, per come esprime sé stesso.
Una prospettiva che in un certo modo si rifà al sotto testo della disco music prima, delle feste al Loft di New York e poi ancora nei club di Chicago che sono stati la culla della musica house.
Oggi si parla di omofobia, di razzismo, di conformare tutto a uno schema lineare dove ci sono il bene e il male nettamente separati da… un punto di vista.
Oppure di vivere la vita con un sorriso per tutti, imparando anche ad accettare nelle proprie esistenze coloro i quali arrivano soltanto per donare amore.
PS: non l’ho sottolineato, ma lui l’ho conosciuto attraverso la collaborazione con Blood Orange
Da Miles Davis a Q Tip è uno dei percorsi di SLRVLTN per cercare di unire i puntini nella musica black.
La nostra storia inizia il 17 Agosto del 1959.
Avrebbe dovuto iniziare prima, molto prima, nel 1912 ma il bello della nostra storia è che inizia ad un certo punto e da qui come in una macchina del tempo continuerà ad andare avanti e indietro nel tempo all’interno di un’altra storia che come cita Alberto Castelli è sempre una sola, unica, grande storia.
Un flusso, quello della nostra storia, che cercherà nel tempo di unire i puntini attraverso gli agganci, i ricorsi, le manipolazioni e le trasformazioni.
C’è una musica, che nasce per il pubblico il 17 agosto del 1959 e che ancora oggi è ritenuta un capolavoro. Non racconta con le parole, ma da allora ha iniziato a raccontare tutto in un modo nuovo. Ha sovvertito le regole, ha creato un mondo nuovo e oggi è ancora lì come fosse una parete rocciosa a fare la sua parte. Come se fosse un guardiano, come se fosse una sentinella. Ecco, una sentinella.
Che inventa il jazz modale, lo inventa a New York in uno studio il 2 Marzo del 59. Lì dentro li vedi, Miles, John Coltrane, Cannonball Addelrey, che non avevano nemmeno fatto le prove e quelli erano tutti pezzi nuovi. Miles che spiega qualcosa, bofonchia, lui è sempre stato uno che ha amato la sintesi nei discorsi e nemmeno gli piaceva granché parlare.
Quel giorno iniziò a prendere forma uno dei dischi già influenti della musica black, un momento decisivo per la musica del ventesimo secolo.
Ecco, allora, Agosto del 1959. C’è un ragazzo che ha 26 anni. Non sappiamo in che città sia, adesso, perché lo vediamo nella sua camera. Con quel disco in mano, quella copertina severa. E con quel disco ci passa le ore, lo terrà sempre come riferimento, anche quando poi scriverà su quei fogli gli arrangiamenti che gli commissionano le orchestre, le sue canzoni, quando andrà a lavorare per Frank Sinatra, quando vedrà sullo schermo da solo la storia di Kunta Kinte raccontata prima da Alex Haley e poi musicata da lui.
Ecco, quel ragazzo che ancora oggi, quando gli chiedono di quel disco, risponde che è il suo ascolto preferito, ancora oggi, la sua spremuta d’arancia, che gli suona fresco come se fosse stato inciso ieri”.
Ah certo quel ragazzo, molti anni dopo il 1959, molti chilometri dopo quelli percorsi dal negozio di dischi alla sua cameretta, continua ad occuparsi di musica e in un altro posto, in un altro giorno, tanto tempo dopo lo vedi, eccolo lì, premere il tasto play su un gigantesco mixer per ascoltare la sua produzione appena finita. Fatta con molti amici e con tanta esperienza, fatta su misura per un talento che di lì a poco verrà incoronato come re del pop.
Ecco, quel ragazzo, quel Quincy Jones, molti anni dopo sarà colui che intuirà le possibilità gigantesche di un team di lavoro al servizio del talento di un ragazzo di Gary nell’Indiana.
Forse è tutto qui. I gradi di separazione dal jazz alle classifiche mondiali, da Miles Davis a Micheal Jackson. O forse non è proprio tutto qui e ce n’è ancora.
Perché da quel 17 agosto 1959 le cose nel jazz sono cambiate, si sono spostate, si sono contaminate e sono anche diventato altro. Perché insieme a Kind Of Blue, proprio lì di fianco, sullo scaffale con i vinili c’è anche almeno un disco di John Coltrane, che in Kind Of Blue ci ha suonato eh.
Il jazz, perdonami se ci sto un attimo sopra. La sua tradizione è fondata sul prendere in prestito idee e strutture altrui, melodie e armonie usate come fondamenta per invenzioni musicali nuove. Nel mondo del jazz ci sono artisti in grado di citare 10 canzoni diverse in assolo, come faceva Sonny Rollins. Perché allora non esisteva la figura del produttore come la conosciamo oggi, non era ancora arrivata quella festa del 13 Agosto del 1973 dove un giovanotto come regalo di compleanno alla sorella inventò la festa di tutte le feste, la mamma di tutti i party, a Sedgwick Avenue nel Bronx, la festa che sancì Dj Kool Herc come il papà dell’hip hop.
Però vedi non è grandissima la differenza. Un jazzista cita le canzoni, un dj di New York prende proprio le canzoni e le spezza, le trita e ne fa cose nuove.
E poi a un certo punto, nel 1991, un innamorato di A Kind Of Blue è in studio insieme ai suoi compari. E a un certo punto in quello studio si apre la porta di ingresso ed entra uno di quelli che con Miles Davis ci ha suonato. Si chiama Ron Carter, che suonò con Miles negli anni 60 proprio poco dopo che Kind Of Blue venne alla luce.
E lo fa suonare, Q Tip, lo fa suonare Ron Carter, glielo lascia suonare il suo basso e poi aggiunge a quelle cose i beat, registra con lui la musica e poi A Tribe Called Quest ci rappano sopra.
Era il 1959. E’ il 1991. E’ sempre la stessa unica grande storia.
Io però sull’R&B ci volevo tornare.
Perché in questa parte della nostra storia (come in altre, ma non è ancora il momento di raccontarle) arriva anche il solito tema: le voci R&B e anche quelle soul hanno sempre dovuto combattere e spesso perdere per ottenere considerazione dentro le stanze della musica pop (intesa come popolare, non come ‘fai una melodia base e cantaci sopra cose banali’).
Andiamo indietro, rispetto a oggi, e torniamo a quando c’erano “le classifiche” e queste erano pressoché dominate da un ragazzo dell’Indiana, un certo Michael Jackson. E nel periodo in cui lui aveva fatto “Off The Wall”, “Thriller” e “Bad” in sequenza (che oggi Drake se lo scorda proprio, per dire).
In quel periodo lui era il capo di tutti, non c’era discussione. Era meglio di Pelè, Messi e Van Basten messi insieme.
Ed è stato lui. E’ stata tutta colpa sua.
Praticamente è successo questo.
In un ufficio splendido, con le poltrone da migliaia di dollari, dentro il palazzo di MTV, c’è stata una riunione in cui sono stati mostrati i dati di vendita (perché i dischi si vendevano e si contavano delle copie che ancora oggi non si capisce se erano quelle vendute o quelle distribuite, come succede per i giornali che non li legge più nessuno – dicono – ma li stampano in milioni di copie) e in una classifica di 20 canzoni c’erano solo quelle di Michael Jackson.
Ora, MJ è importantissimo per la musica e per alcune altre cose che non sono i gossip e le cronache scabrose basate su presunzioni o su deliri di persone in cerca dei dieci minuti di notorietà. Perché quella volta negli uffici con le poltrone in pelle di MTV si è parlato per la prima volta di:
Un artista nero
Che fa musica nera
Prodotto da un altro artista nero
Non era possibile ignorare i fatti, e i fatti erano un coro che cantava le canzoni di Michael Jackson. E i fatti erano video il cui protagonista era Micheal Jackson.
Un artista nero
Che fa musica nera
Prodotto da un altro artista nero
Che ha fatto neri tutti gli artisti bianchi.
E a quel punto la musica black non può che entrare nell’ufficio di MTV, prendere possesso di quello che da lì arrivava nelle case delle persone e portare alle persone
Un artista nero
Che fa musica nera
Prodotto da un altro artista nero
Che ha fatto neri tutti gli artisti bianchi
Che piace in maniera maniacale anche ai bianchi.
Come lui ce ne sono un sacco di altri, ma lui è riuscito ad imporre gli artisti neri alla programmazione di MTV.
R&B o no, poco importa. Adesso.
Ed è stata una conquista pazzesca, come quella di Stevie Wonder dentro la Motown, che ha vendicato tutti gli artisti R&B che ancora oggi vengono ascoltati e idolatrati ma che non hanno mai visto la metà pià alta della classifica di Billboard (allora bibbia della musica in America, mica quella paccottiglia di frasi smozzicate che trovi oggi sull’internet).
Che poi anche negli anni 80 se non ti chiamavi Prince o Lionel Richie o Whitney Houston o Billy Ocean o un qualsiasi Jackson mica potevi nemmeno sognare di avere una consistenza nell’universo delle popstar e nemmeno un singolo al numero uno. Mica vorrai scherzare.
E pensa che oggi ancora c’è chi nega che le persone “black” non siano mai state discriminate, che siano state trattate sempre con rispetto e che cosa vogliono quegli invasati dei Black Lives Matter? (Te lo suggerisco io: giustizia, anche se oggi oramai questa cosa data in pasto ai media mainstream si sta riducendo a un pezzo di folklore e stanno togliendo la dignità anche ai loro movimenti, per dire come questo problema sia ancora scottante e attuale oltre che vergognoso).
Cioè per arrivare a questa cosa di avere delle canzoni al numero uno dovranno aspettare la rivoluzione dell’hiphop, la consacrazione di questo movimento a qualcosa di mainstream per poter arrivare lì, dove da trent’anni il loro posto veniva occupato da qualcun altro. Ingiustamente.
Se ti dico solo Aretha Franklin, a te cosa viene in mente?
Ecco, esatto, la regina.
E la regina su Billboard al primo posto della Hot 100 ci è arrivata solo con ‘Respect’ nel 1967. E mai più.
E altre regine sono state allontanate in malo modo dal trono.
Come Teena Marie che era bianca ma nera dentro, una vera donna R&B, in collaborazione con il suo mentore Rick James che – santiddio – non ha fatto solo “Superfreak” ma è la sola canzone per la quale viene ricordato dal mainstream (perché Mc Hammer lo ha campionato, pensa a te!). Come Stephanie Mills che ci ha regalato alcune gemme che ancora oggi sono meraviglie (le chiamerebbero “classici”) o Angela Winbush che ha scritto per Stephanie Mills, Sheena Easton e per gli Isley Brothers che nemmeno con ‘Angel’ è potuta entrare nelle stanze della dannata Top 100 di quel fottuto Billboard.
Che poi lei è la quota rosa di uno dei dischi che ogni amante della black music deve avere in collezione (o almeno andare a recuperare da qualche parte perché adesso sai che esiste questo disco e non puoi andare avanti senza ascoltarlo) che è ‘Street Called Desire’.
E la Regina di fatto e di nome (il cognome è Belle), che dire? Oh già sì lei è quella che con Peabo Bryson ha fatto il duetto strappa mutande di Aladdin nella versione cartoon di Disney, sì. E pure con questa non è arrivata nella Top 100 di quel fottuto Billboard.
Oh sì, hai ragione, non è vero che gli artisti neri e la gente “black” è stata discriminata. Sono tutte persone che hanno giocato male le loro carte, oh come hai ragione. Allora senti, lascia perdere questa storia e vai a bere quello che ti racconta la Top Fucking 100 di Billboard e lasciaci in pace. Questa non è la tua sola unica, grande storia, ma è la nostra. E suona anche così.